Milano. Ore 5.00 circa di una domenica mattina.
Chi ritorna dalla “serata”, chi invece va al lavoro. Facce pallide ed emaciate, la veloce cadenza delle lingue sudamericane, mani che afferrano fiacche buste di plastica attorcigliate a non so cosa.
Operaio palermitano da 4 anni a Milano. Ha girato per tutto il nord.
Qualche mese, poco meno di un anno alla pensione.
Aspettiamo alla fermata del 90, chiede quando passerà. Giusto il necessario per sincerarci della reciproca sicilianità.
Deve raggiungere i colleghi a piazzale Loreto e poi partire per Torino.
Saliamo assieme sull’autobus, si siede davanti a me: facciamo lo stesso tragitto. Va a montare le luci in un concerto di Gigi d’Alessio. Ritornerà la sera, per sole 4 ore di lavoro. Un paio di figlio di puttana a Gigi d’Alessio e via: la tradizionale preferenza che il palermitano di “borgata” nutre nei confronti dei neo melodici, non serve a salvare il povero Gigi dalle sue ire.
È insofferente a questa vita, al Nord. Ha voglia di tornare giù, andare a pescare ed abbracciare i nipoti. L’extra-comunitario che si accontenta di 2euro all’ora, gli fotte il lavoro. Sono loro il male dell’Italia che ti fanno lavorare per niente. I giovani invece sono senza esperienza ed anche loro gli fottono il lavoro. E poi se lo licenziano, a lui, a 57 anni chi lo riassume.
Guerra tra poveri. E le mie stupide vanità ben presto svaniscono.
Si è alzato alle 4 e ritornerà la sera alle nove. Un panino, una coca cola ed un pacco di sigarette , “picca picciuli pi na iurnata di travagghiu”.
Il viaggio in treno ormai lo logora ed il treno non sempre può permetterselo. Forse riesce a scendere dopo sei mesi, per il battesimo del nipote.
Apre la bocca, mi fa vedere i denti. Quelli che gli restano. Un incidente glieli ha strappati via quasi tutti, consegnandogli, invece, un paio di mesi di coma e 70 mila euro che l’avvocato insiste a fargli rifiutare. “120, 150 mila ammeci mi nanna dari…”
Le porte del bus che aprendosi singhiozzano uno stridulo lamento, le luci al neon bluastre, una mattinata insolitamente calda, la stanchezza che fiacca le gambe, l’unto vetro del finestrino a cui appoggio la mano, fissando un viso duro, spesso, rigato, come percorso dai segni della vita.
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