venerdì 24 giugno 2011

Dublino gusto vaniglia

A Dublino ci sono i camioncini del gelato. Mentre dal cielo viene giù la solita schifosa pioggia ad intervalli più o meno regolari, durante cangianti pomeriggi in cui nuvole e sole si divertono a disegnare maculate figure su verdi prati macchiati da merde di pony irlandesi, gelatai depositano strisce di copertone sull’asfalto sfrecciando tra sobborghi pieni di bambini in divisa del Manchester United: palloni ricavati da vecchie carcasse di precedenti gloriosi bulbi sferici di magico cuoio al cui interno ha trovato posto un “super tele”, rimbalzano tra schiere di case con giardino, moquette e porta a vetri. Camioncini del gelato con il loro sempre identico jingle e solo un gusto tra cui poter scegliere: cono gelato con vaniglia e biscotto.

In una Dublino decadente che vede sciamare gruppi di butterati minorenni sfondati da alcol e droghe, ciondolanti in rigorose uniformi Adidas come a segnalarne l’appartenenza a quella corporazione di soggetti pronti a ficcarti una lama in corpo per molto poco, ci sono storie che ti capitano tra le mani, che ti si fiondano nella memoria, che hanno il gusto dolciastro della vaniglia o quello speziato ed esotico del curry, storie che sono fragranze che ti si impregnano nella mente, lasciando in dote un campione di sensazioni ben presto destinate a scemare in un unico indecifrato sbiadito gusto, profumo o sentimento di giorni che furono, appartenuti ad estranei e sottratti in maniera quasi furtiva durante confuse conversazioni.


Il professore di inglese che ha vissuto per tre anni in Argentina e chissà per quanto tempo dove. Una professionale riservatezza che solo a stento riesce a celare tutta la sua irresistibile simpatia.


L’architetto Spagnolo che con il fidanzato decide di fuggire da una Spagna in piena crisi. Irlanda e fra 4 mesi Brasile: li cercheranno lavoro nei grandi business dei mondiali e delle Olimpiadi. Lei odia stirare le camicie, piuttosto preferisce portarle in lavanderia.


Jefferson il Brasiliano. 20 anni, abbandonato il primo anno di università in Brasile, si trasferisce a Dublino dove la mattina studia inglese e vende giornali ai semafori nel pomeriggio. Vive con altri cinque brasiliani e fra pochi giorni si trasferirà in un altro appartamento.


La ragazza tedesca di cui non ricordo il nome. Conturbante lolita, maggiorenne da poco. Insopportabile, ma dalla quale difficilmente riesco a staccare gli occhi di dosso. Suona il piano ed ha il rammarico di non aver imparato la chitarra. Si lamenta del fatto che le sue scarpe abbiano ben presto ceduto sotto l’incedere della pioggia irlandese.


Caroline, canadese di madre francese. Appena accolta a casa. Scossa, tramortita, scioccata a dir poco. Picchiata e derubata dalla precedente coinquilina nonché proprietaria di casa.


Jesus, esuberante sciupa femmine spagnolo che colleziona “bandiere”. Erasmus in una piccola cittadina della Romania al confine con l’Ucraina. Lavora adesso in una società di marketing a Dublino. Si sveglia alle 6 di mattina per andare in palestra: doccia, colazione e poi lavoro.


Signora Irlandese di cui sconosco il nome: in verità credo non me l’abbia proprio detto. Una casa di proprietà in Spagna in cui ritorna durante l’inverno. Ha vissuto in Italia dove ha lavorato per anni nel settore real estate, tra Toscana ed Umbria. Mi aiuta a trovare la fermata dell’autobus. Bellissimo cappotto di lana color ocra, con pelliccia ai baveri del collo. Un accento assai british e tutti i segni di uno charme e di una bellezza che furono.


Papà dell’est europeo con figlia sulle spalle. In un venerdì di insolito sole, passeggia per strada tenendo ben aggrappata al collo una stupenda creatura dai boccoli d’oro. Gli chiedo informazioni: mi risponde, mi accompagna, mi mostra dove.


Colei che scorgo tutte le mattine dalla parete vetrata dell’aula contigua alla mia. Come me, arriva molto presto ed attende l’inizio delle lezioni. Uno sguardo triste, anzi no, discreto. Attraversando il corridoio per arrivare all’uscita del secondo piano, finisco sempre per spiarne il comportamento. Dimostra distacco da quello che gli succede attorno, quasi un senso di inappropriatezza. Chissà quale gusto avrà la sua storia.

lunedì 6 giugno 2011

Whatever Works


“I happen to hate new year’s celebrations. Everybody desperate to have fun, trying to celebrate in some pathetic little way. Celebrate what? A step closer to the grave? That’s way I can say enough times, whatever love you can get and give, whatever happiness you can filch or provide, every temporary measure of grace, whatever works. And don’t kid yourself, it’s by no means all up to your own human ingenuity. A bigger part of your existence is luck than you’d like to admit. Christ, you know the odds of your father’s one sperms from the billions, finding the single eggs that made you? Don’t think about it, you will have a panic attack”.

Boris Yelnikoff (Larry David) in “Whatever Works”of Wood Allen

sabato 26 febbraio 2011

Legna bruciata e puzza di merda

Ognuno ha le sue sinestesie, forse anche quelle che si merita.

Non sono un tipo da “madeleine”, io.

L’odore della legna bruciata nell’aria mi riporta al pomeriggio del lunedì dell’angelo, al 25 aprile ed al primo maggio. Primavera, carne, parenti ed amici, giro con la macchina con il finestrino abbassato anche se dopo le 18 comincia a soffiare tramontana ed il freddo pizzica sulle mezze maniche da poco tirate fuori dal cassetto, jeans strappati e sporchi di carciofi abbrustoliti alla brace, vecchie Adidas adesso diventate da “campagna”, fragranza d’arrostito addosso.

Da adesso, però, l’odore della legna bruciata è anche Bielefeld. In questi giorni le maestranze stanno ripulendo i boschi qui attorno. La cura di cui i boschi necessitano. Tagliano in maniera accurata e poi bruciano la legna.

Ognuno ha le sue sinestesie, quelle che si merita.

La puzza di merda nell’aria sarà Bielefeld ed il mio Erasmus. Prima era Parma e lo sterco di quei porci materia prima per il prosciutto: adesso Parma è sparita. Gli allevatori puliscono le stalle e sversano la merda nei campi: qui a Bielefeld però la merda è di bue. Parecchie fattorie tutt’ attorno, con i pannelli solari sul tetto che splendono nelle giornate di sole.

Ognuno ha le sue sinestesie, quelle che si merita. Sterco e legna bruciata, sono le mie.

martedì 18 gennaio 2011

Ettore Scola

Rimetto mano al mio blog dopo mesi.

Blog non mi sei mancato e nemmeno tu, scrittura.

Credo di non aver interrotto il mio scrivere per così tanto tempo da quanto ne ho acquisito la capacità. Piuttosto che scrivere, in questi mesi ho preferito girare. Ma girare cosa, i pollici forse? No, girare un film. Si perché vivere un Erasmus è come farlo. Talvolta, solo per istanti, finisco per astrarmi da quello che sto vivendo e lo percepisco dall’esterno, come filtrato per via di una camera: un bel film, con scene ben girate e storie compiute.

Non voglio di certo fare l’apologia dell’Erasmus: è vero, già mi manca prima ancora che abbia termine, ma ci saranno tempi e luoghi opportuni in cui finirò per rimpiangerlo.

Adesso scrivo, dopo aver visto un film di Ettore Scola. O meglio, sto attendendo i canonici 30 minuti di pausa Megavideo. Mi sto dando aree da intellettuale? Non credo, sono ai minimi storici della mia pulsione al pensiero, anche se di questi tempi, penso, e finisco per farlo tanto bene.

Di questo ultimo periodo non voglio perdermi niente. Ed il mio menefreghismo per tutto quello che mi circonda accresce. Paradossalmente, il fatto di vivere relazioni sociali a brevissima duratura, mi rende molto più libero. Non pretendo niente da nessuno ed io stesso sono più altruista nel donarmi agli altri, almeno credo. Riesco a sorbire con massima abilità, discussioni inutili, situazioni incresciose, pacchi, opportunismi, insomma tutto quello che nella vita normale pure mi farebbe incazzare. Qui è diverso e non riesco ad arrabbiarmi di nulla. Mi piace quasi tutto di questa vita, ma forse solo perché si tratta di una vita a breve scadenza.

Dispongo di relazioni sociali fondate sul nulla. Nessun interesse comune, nessuna affinità caratteriale, niente di niente. Bè…questo dovrebbe forse essere un problema? Perché a volte chiedo così tanto a chi mi sta accanto? Già il fatto di trovarsi nello stesso posto e momento non è comunanza? Ed è quello che avviene qui. Nessuno ha deciso niente. Tutti hanno solo scelto di vivere con perfetti sconosciuti. Quello che accomuna è la voglia di mettersi in gioco e di condividere qualcosa (di sovente indecifrato): poco altro ancora, ma questo può bastare.

La faccia tosta diviene routine. Non mi sento mai a disagio, di niente. Benché talvolta non riesca a comprendere il nulla più assoluto per via del tedesco, niente mi disturba. Ho con me, sempre, le mie certezze: il 28 febbraio tutto finisce e tutto mi mancherà.

Mi piace la facilità con cui si entra nella vita della gente e soprattutto quella con cui se ne esce. Niente è statico. È un fottuto tourbillon!

Me ne andrò con il mio bagaglio di ricordi, anche se non sarebbe male che qualcuno di questi continuasse a sopravvivere nella mia vita: ma si vedrà.

Sto scrivendo di getto.

Mi piace conoscere gente nuova, mi piace più di tutto. Nei libri sta scritto, solo perché nella vita si è fatto. Vorrei conoscere gente e scrivere di loro. Tutto è interessante qui, ogni storia è unica, ma forse perché unico è il mio interesse.

Ho voglia di procedere per pazzie, nelle prossime settimane. Per carità niente di eccezionale, non sono mica una rockstar e gli eccessi non mi sono mai piaciuti. Credo che sia più stravagante regalare una rosa a qualcuno con cui si è parlato per 5 minuti in massima frivolezza in discoteca, che sbronzarsi con una bottiglia di vodka. Talvolta la trasgressione è così ovvia, che mi stupisce ben altro.

Entrare nelle vite degli altri è trasgressione. Questa mi attira e mi stupisce, questo voglio fare. Mi basta giusto parlare ed io adoro parlare: adesso che l’inglese mi risulta meno impenetrabile, perché non farlo.

Mi si è addormentato un piede e lo bistratto per terra, in questo modo la circolazione si riattiverà.

Blocco il rubinetto che continua a gocciolare e ritorno ad Ettore Scola.

giovedì 16 settembre 2010

Bath Coupon

Bielefeld, la città che non esiste, giovedi 16 settembre 2010, ore 22 circa.

Primo giorno di connessione internet.

Seconda settimana di permanenza in terra tedesca: sette giorni fa Berlino, domani Wuppertal , sabato/domenica (forse) Dusseldorf.

Stravolto dai ritmi erasmus, ancor più da quelli teutonici.

Imparare il tedesco è come fare voto di povertà: ben presto finisce per passarti la voglia.

Riesco a sostenere conversazioni in inglese, riuscendo a carpirne solo il 20% del significato: nessun problema, dato che l’interlocutore, nella stragrande maggioranza dei casi, è così terribilmente ubriaco da non riuscire a ricordare di cosa stesse parlando fino a 5 minuti prima.

I “tedeschi” sono tali nel senso più comunemente percepito (in Italia) del termine: è pur vero che sono solo agli inizi della mia disamina. Ancora mi mancano molti elementi per approfondire la mia analisi sociologica in merito.

La partizione della giornata, così come prevista dall’ufficio relazioni internazionali della Fachhoschule Bielefeld ha sempre una dimensione spartana, militare, anche nei giorni pattuiti come di “relax”. Ne scaturisce tutta la mia “italica” insofferenza …

Essere ripresi da un insegnate tedesco, per uno studente italiano tende ad assumere la valenza di una mortificazione immonda.

Lo status di erasmus prevede un uso sconsiderato di alcolici, quello di abitante dell’Europa del Nord ancor di più: salute, portafoglio e self control, ringraziano vivamente l’ impossibilità di reggere il ritmo di Olandesi, Finlandesi, Tedeschi, Cechi, Polacchi, Francesi…

Sembra che attorno all’Italia ed agli Italiani, graviti un’aura mitica. Talvolta mi sento come una specie protetta in territorio di caccia: bisogna anche stare attenti alle cacciatrici più mature.

Il mio senso di inferiorità per gente che in media parla correttamente due lingue oltre alla propria? Poca se si trattasse solo di tedeschi; ma se a questi aggiungiamo olandesi, finlandesi, cechi, turchi, polacchi, coreani…allora si passa ad un sentimento di manifesta indigenza personale.

La spesa diventa un’attività complessa, al limite dell’impossibile. Poche speranze di trovare ciò che risulta mediamente utile ad un italiano: e non parlo solo di alimenti. Due settimane di continua ricerca ancora non mi hanno permesso di trovare un cazz…di secchio per mocio.

Trade Markettari, la distribuzione italiana sarà anche la peggio organizzata, il suo livello di redditività al lordo di contributi fattura sarà pure tra i più bassi d’europa, ma sul livello di servizio offerto al consumatore ( in termini di assortimento) sono pronto ad aprire un contraddittorio.

La mia camera? Praticamente un monolocale di 15 metri quadri comprensivo di letto scrivania mensole armadio cucina tinello bagno doccia e niente bidè. Come questo possa essere possibile? Frutto del razionalismo tedesco.

Paghi 70 centesimi per utilizzare il bagno in una stazione di servizio sull’autostrada e con lo stesso ticket puoi usufruire di un coupon sconto di 50 centesimi sul food? Sconcertante associazione, sempre frutto del razionalismo tedesco.

Il bagno dentro la mia stanza interamente in pvc: orribile! Sembra essere stato fabbricato per una cabina di una nave e poi bello e pronto montato in una residenza universitaria.

Il livello di socializzazione nel mio dormitorio? Nullo. Solo un agglomerato di monolocali.

Posso ospitare chiunque quando meglio lo ritengo opportuno: esplicito messaggio ai promessi visitatori. Organizzatevi, vi aspetto!

giovedì 24 giugno 2010

bouquet de nerfs

Journée de la pleine lune
Au sommet de la dune
A caresser de loin ton chien

T'oublies or not t'oublies
Les ombres d'opalines
au rendez-vous suivant, j'attends
Au fond d'une autre limousine
Qui ne vaut pas plus cher
Que ce bouquet de nerfs

A frôler la calanche
Les étendues salines
A perte de vue on s'imagine en Chine

Trompe la mort et tais-toi
Trois petits tours et puis s'en va
J'opère tes amygdales
Labyrinthiques, que dalle
Ne m'est plus rien égal
Je sais je n'ai offert que des bouquets de nerfs


Rubis de Sade et jade, déjà je dis non
Diamant, c'est éternel
Des fleurs, des bouts du ciel immense

La liste des parfums capiteux
Capitalistes c'est bien bien
Mais olfacultatif
Liste en boule, au panier
Finalement j'ai offert quelques bouquets de nerfs

Agendas donnez-moi
De vos dates à damner
Tous les bouddhas du monde
Et la Guadalupe

S'il arrive qu'un anglais
Vienne me visiter
Dans la métempsychose
Je saurai recevoir je peux lui en faire voir de la sérénité
Et même lui laisser un certain goût de fer
Et ce bouquet de nerfs


Bertrand Cantat

venerdì 18 giugno 2010

Geremia de’ Geremei

Forse non è adeguato argomentare di questioni di tale genere. Forse è meglio solo parlarne. Forse è meglio non parlarne affatto. Non ho mai condiviso quella propensione a riportare su blog, fatti opinioni sentimenti che per loro natura sono strettamente personali: semplicemente ritengo tale attitudine come inopportuna. Non è detto che quanto mi appresto a scrivere rifletta appieno ciò che veramente penso. Magari non penso affatto ciò di cui sto scrivendo. Magari lo penso solo in parte. Magari il mio intento è solo di voler provocare, magari sto anche sbagliando a scriverne. In ogni modo ne sto scrivendo.

Sono certo di non essere l’unico, men che meno il primo e nemmeno l’ultimo, a ritenere che l’uomo abbia una forte componente di male insita in se stesso. Credo che la virtù risieda nel prenderne consapevolezza e nel cercare di limitarne al massimo la portata. Nel più frequente dei casi si cerca semplicemente di fare quello che si può.

Credo che il pensiero e l’azione negativa siano quasi sempre la soluzione maggiormente a portata di mano. Credo che sia più facile dire e fare una cazzata, piuttosto che qualcosa di giusto. Se è possibile essere come Geremia de’ Geremei, se è plausibile agghindare una vita di una così schifosa corte di viscidi orpelli, se la realtà reca in dote un tale campionario di subdole merdate, che siano esaltate da un fluoriclasse di controversa meschinità come cotal soggetto o anche sole rese manifeste a bassa intensità con un coefficiente di abbrutimento assai minore (come del resto avviene in ciascuno di noi)…

Ma allora se è così facile cedere al lato più di fetente della nostra indole. Se la stessa nostra natura è sospetto, indifferenza, malizia, allora…allora un pensiero di una positività pazzesca mi assale. Cazzo! Siamo costantemente alle prese con uno sforzo immane: per fare del bene ci si deve sforzare, dilaniare in mille innocui rivoli il condizionamento negativo della propria indole, rinnegare il proprio essere di perfetto pezzo di merda. Quanto sarebbe scontato fare del bene, quando il bene stesso è fisiologico e naturale! Il bene perderebbe ogni carattere di eccezionalità, sarebbe implicitamente svuotato di tutto il suo valore, della sua bellezza, della sua portata rivoluzionaria. Cosa c’è di più stupefacente nell'uomo, di un atto, di una seria ragionata e meditata di azioni che contrastano con la sua più fisiologia inclinazione di predatore di ogni cosa? Il bene sconvolge, perché presuppone una serie di atti: prendere coscienza del proprio essere ( dunque analisi e consapevolezza di se), quindi rinnegarne la portata e smorzarne le manifestazioni più malsane. Ma soprattutto, a far deflagrare il crogiolo d'insipida umanità che pure ci attornia è l'accettazione di un principio di ordine superiore: il bene è di gran lunga il valore più elevato che l'uomo possa mai riconoscere. Insomma è come dire “Sono una merda, sto pensando come uno stronzo ed agendo come un coglione, ma non lo farò più, lo sarò solo in parte, sempre in misura minore, perchè ho un tarlo ficcato in testa che mi corrode e mi sfianca e mi annichilisce quando non seguo quel principio che pure riconosco: il bene".

Adesso si dovrebbe parecchio dissertare attorno al concetto di bene: purtroppo al momento mi trovo sprovvisto di spirito e sagacia tale da consentirmi uno sforzo di tale portata. Ma un'ultima considerazione, i miei mezzi (e sopratutto vista l'ora tarda, il caffè pomeridiano che ancora mi tiene sveglio) pure me la concedono: credo che nell’uomo ci sia del male, ma anche un forte spirito di miglioramento (di sovente in peggio).



p.s. Ho scritto dopo aver visto “L’amico di famiglia” di Paolo Sorrentino ed aver ascoltato l’album “Neon Golden” dei The Notwist. Non posso che aggiungere un paio di supposizioni: che “L’amico di famiglia”, snobbato dalla critica, sia il miglior film di Sorrentino? Che Sorrentino stesso sia un genio assoluto? Che le stelle attribuite da ondarock agli album non rispecchino appieno le mie preferenze? (Neon Golden certamente merita almeno un 0,5 in più). Che nei periodi che precedono eventi importanti della propria vita, si finisce immancabilmente per essere riflessivi ed introversi?