“Se fossi costretto a lasciare il mio paese.
Se la sorte portasse in dote un “lavoro” in Italia. Se per vivere mi toccasse lavorare 18 ore al giorno e se la mia paga fosse 2 euro all’ora. Se il mio datore di lavoro fosse un “caporale” al soldo della n’drangheta. La casa? Una baracca in cartone fango e lamiera, se va bene una fabbrica abbandonata. Se per sfuggire al freddo fossi costretto a respirare i fumi tossici dell’immondizia bruciata.
Se fossi in possesso di un permesso di soggiorno, se tutelato da una protezione internazionale, se anche clandestino. Se facessi un lavoro che nessuno vuol più fare, se i campi e gli aranci fossero ormai la mia sola vita.
Se il sogno di un’esistenza dignitosa fosse solo un tragico rimpianto. Se i pochi soldi a disposizione li spendessi in prostitute e alcool, così per lenire il dolore di una vita infame. Se più volte sono stato pestato dai caporali, se l’anno scorso ho anche denunciato alle forze dell’ordine. Se adesso giovani rampolli delle ‘ndrine mi sparano con un fucile ad aria compressa.
Se la mia reazione è furiosa, se distruggo, incendio, sfascio…”
La solita guerra tra poveri, dove i ministri e le intellighenzie di un paese si “divertono” a cavalcare l’onda elettorale del diamo addosso al nero. Il solito putridume morale di chi si ferma alla superficie dei problemi e non ne traccia la vera essenza.
Forza lavoro al soldo di poteri economici legati e gestiti dalla n’drangheta, manovalanza indispensabile per un business senza scrupoli che viola e calpesta la dignità dell’uomo. Migliaia di “neri” stipati come bestie, all’interno di veri e propri lager: e questo ogni anno, sempre, da circa venti anni, con la cadenza della raccolta degli agrumi nei campi. E la popolazione, la gente, la chiesa, il volontariato che assiste, cerca di dare una mano, per quanto possibile: la convivenza è cercata rincorsa, seppur difficile. Si crea un’emergenza trascurata dallo stato, pressoché ignorata dalla stampa, ma ben gestita da chi di dovere. I pestaggi frequenti, violenti: sono animali ed i caporali come tali li trattano. Loro, i neri pure denunciano, trovano la forza di fare quello che molti calabresi pure non sono in grado, opporsi agli sfruttatori mafiosi. Ed i pestaggi continuano. Fino a quando colpi di fucile ad aria compressa raggiungono gli schiavi neri: autori, giovani leve di illustri “famiglie” del luogo. Monta allora la rabbia, si scatena in modo incontrollato. La gente si organizza e reagisce: pesta, spara, sfascia pure lei. E la n’drangheta da questa parte, a proteggere una popolazione che vede nel potere mafioso l’unica forma di tutela possibile e riconosciuta: non l’antistato, ma piuttosto il vero stato.
La n’drangheta allora fa il bello ed il cattivo tempo. Come un abile burattinaio muove tutte le fila dell’intera vicenda. Gestisce la raccolta degli agrumi, schiavizza immigrati, genera ed alimenta degrado disperazione tensione con la popolazione locale, fa scoppiare una rivolta, la contrasta.
Il tutto, casualità vuole, nel giorno in cui, a Reggio Calabria, i ministri Roberto Maroni ed Angelino Alfano, annunciavano nuove misure contro la 'ndrangheta dopo la bomba esplosa alla Procura generale.
Eppure il messaggio mi sembra piuttosto semplice: qui comanda la n’drangheta, il territorio è nostro. Con noi si tratta, noi teniamo in pugno una regione, disponiamo del controllo dell’economia ( la raccolta degli agrumi-chi la farà senza i neri, si profila un settore in stallo o passato il guazzabuglio di nuovo sotto con le bestie umane?), dell’ordine pubblico, della sicurezza e soprattutto della fiducia della popolazione.
(Un eccesso di tolleranza): farisei in chiesa.
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