sabato 3 settembre 2011

Gatto Potere – Il riposo del crumiro che voleva essere guerriero


Da quando sono in Irlanda il venerdì sera è diventato una delizia. Il momento preferito della settimana. È anche il solo durante il quale riesca a trovare il tempo per buttare giù un paio di righe. Il fatto di tornare a condividere una stanza dopo parecchi anni – dieci per la precisione – mi fa diventare avido di solitudine. Adoro il venerdì sera perché sono stanco di una stanchezza derivante da qualcosa di gratificante. Adoro il mio lavoro, peccato che (con molta probabilità ) non sia niente di certo (“certo” e “definitivo”, non mi attraggono più di tanto, preferisco “piacere” anche se “temporaneo”). Gatto potere (Cat Power) mi fa compagnia: ogni tanto anche Nada e Billy Corgan in live si uniscono al crepitio del soffitto di legno (che adoro) ed al ronzio discreto della lavatrice Miele (che mi ricorda le Germania) ben incapsulata nel mobile della cucina. Ho appena finito di parlare con la mia coinquilina spagnola: anche lei è uscita. Io no, perché il venerdì sera è il riposo del guerriero. Approfitto di questo momento, l’unico della settimana in cui posso disporre di tutta la casa per muovermi in assoluta libertà. Sono libero di sedere da solo sul divano nell’accogliente living room, fissando il camino e la parete color rosso pompeiano: mi piace quello specchio così, giusto appoggiato alla parte superiore del camino, uno strato di duro, ruvido e nerissimo metallo (sarà ghisa?). Uno specchio non attaccato al muro per mezzo di vite e tassello, ma solo riposto, quasi precario, che sa di intellettuale e casa piena di libri. Mi ricorda una foto di qualcuno della famiglia Kennedy che avevo visto una volta in un settimanale: forse era Jaqueline. La foto in bianco e nero di un appartamento di Manhattan all’ennesimo piano di un grattacielo ( o forse di una “terrace” in qualche altro quartiere residenziale di New York - semplicemente preferisco pensarlo così) con una pila di libri accatastati per terra, vicino ad un’immensa finestra di quelle all’anglosassone, con le barre di legno bianco ad incrociarle.
Ho tutta la casa per me e posso anche permettermi di mangiare la buonissima torta di mele di Tesco che anche uno scettico dei prodotti da forno comprati al supermercato come me, non può esimersi dal giudicare come veramente buona, quasi fresca. Sto facendo qualche mollica, ma anche questo rientra nelle libertà del venerdì sera. È il momento dei piaceri piccoli, quasi banali. Domani, come al mio solito pulirò. Questa sera non mi va nemmeno di lavare i piatti. L’unica cosa da fare è postare questo testo sul mio blog, continuando ad addolcirmi le orecchie della magnifica voce di Gatto Potere. Che strano però, l’album che sto ascoltando si chiama “You are free”, bellissimo. Non si tratta di una boutade poetica, non me lo sono inventato per fare più figo il mio blog, è veramente così!
Il venerdì sera sono libero, di fare le molliche, di mettere i piedi sul tavolo basso del soggiorno, di non piegare la tovaglia da cucina, di lasciare il boccione da 5 litri sguarnito, in attesa che il mio coinquilino francese dal braccino corto ma simpatico, al rientro dalla sua serata, ne riempia un paio di bicchieri. Il venerdì sera è riservato ai piccoli piaceri ed alle mie piccole nefandezze, è il momento deputato al riposo del crumiro che voleva essere guerriero.

Ps: scrivere crumiro al posto di guerriero all’inizio voleva dare un certo tono all’intero testo, scagionandolo da eventuali accuse di nazional-popolariato ed invece consegnandogli un valore di assoluta letterarietà; alla fine mi sono accorto che si addice veramente alla mia persona, per l’appunto “un crumiro che voleva essere guerriero”.

sabato 9 luglio 2011

Due striscie di nastro adesivo

La luce entra di sbieco dalla mia finestra. Le tende non la trattengono. La mia stanza è rettangolare, ben fatta con la moquette. Già i francesi bevono. Nonostante sia venerdì questa sera ho preferito starmene per i fatti miei.

La luce entra dalla finestra, si riflette sulla valigia appoggita al muro. E’ una luce arancione, morbida. E’ una Cork accogliente, umana, a misura d’uomo. In questo posto ci potrei restare. Mi sento bene, sicuro.

Dalla mia finestra, seduto sul letto, vedo il muro di fronte. Riesco ad assaporare la bellezza ed il dolce piacere di una solitudine per scelta. Sono solo e mi sento bene. Da dove derivi questa sensazione, non lo so.

La strada è stretta ed in ripida salita, sono in Barrack Street. Mi sembra di essere a Ballarò, come qualche anno fa, solo, girovagare per Palermo e respirare aria di libertà.

Mi hanno fottuto tutti quei cazzo di libri che ho letto quando ero ancora quindicenne. Invece di spendere le giornate d’estate a divorare Stendhal, Maupassant e Svevo, dovevo uscire a rimorchiare ragazzine. E’ il motivo per qui adesso mi piace cucinare, amo il trip-hop e non sono una persona banale.

Credo di aver capito perché mi piace vivere all’estero. Non mi sento giudicato. Ecco tutto. E se anche così fosse, non mi pesa il giudizio del prossimo. Ieri mi sono bagnato i piedi per via di un acquazzone. Sono stato tutto il giorno al lavoro con i piedi inzuppatii senza che abbia accusato alcun fastidio: questo è un vero segno di cambiamento.

Amo le città con le strade almeno un po’ sporche. Ho sempre la percezione che qualcosa di umano vi stia accadendo.

Per la prima volta in vita mia mi trovo in un posto dove non conosco nessuno.

La stretta visuale che la tenda lascia scoperta, mi rivela quello che sta fuori. In questo spazio, due strisce di scotch filtrano tutto quello che vedo. La mia prospettiva dipende da due strisce di nastro adesivo.

Il mio pensiero va ai miei genitori. Adesso sono in campagna ed a quest’ora li soffia la tramontana. Mi siederei sul balcone al buio e berrei un bicchiere di succo di frutta ghiacciato. Attraversando il corridoio al buio per non svegliarli, darei uno sguardo alla loro stanza e li intravederei calmi, quieti. Mi fermerei per un attimo a pensare, sorriderei, sarei avvolto da un brivido di felicità ed andrei a letto, appoggiando il viso sulle lisce e fresche lenzuola, addolcito dal loro affetto.

venerdì 24 giugno 2011

Dublino gusto vaniglia

A Dublino ci sono i camioncini del gelato. Mentre dal cielo viene giù la solita schifosa pioggia ad intervalli più o meno regolari, durante cangianti pomeriggi in cui nuvole e sole si divertono a disegnare maculate figure su verdi prati macchiati da merde di pony irlandesi, gelatai depositano strisce di copertone sull’asfalto sfrecciando tra sobborghi pieni di bambini in divisa del Manchester United: palloni ricavati da vecchie carcasse di precedenti gloriosi bulbi sferici di magico cuoio al cui interno ha trovato posto un “super tele”, rimbalzano tra schiere di case con giardino, moquette e porta a vetri. Camioncini del gelato con il loro sempre identico jingle e solo un gusto tra cui poter scegliere: cono gelato con vaniglia e biscotto.

In una Dublino decadente che vede sciamare gruppi di butterati minorenni sfondati da alcol e droghe, ciondolanti in rigorose uniformi Adidas come a segnalarne l’appartenenza a quella corporazione di soggetti pronti a ficcarti una lama in corpo per molto poco, ci sono storie che ti capitano tra le mani, che ti si fiondano nella memoria, che hanno il gusto dolciastro della vaniglia o quello speziato ed esotico del curry, storie che sono fragranze che ti si impregnano nella mente, lasciando in dote un campione di sensazioni ben presto destinate a scemare in un unico indecifrato sbiadito gusto, profumo o sentimento di giorni che furono, appartenuti ad estranei e sottratti in maniera quasi furtiva durante confuse conversazioni.


Il professore di inglese che ha vissuto per tre anni in Argentina e chissà per quanto tempo dove. Una professionale riservatezza che solo a stento riesce a celare tutta la sua irresistibile simpatia.


L’architetto Spagnolo che con il fidanzato decide di fuggire da una Spagna in piena crisi. Irlanda e fra 4 mesi Brasile: li cercheranno lavoro nei grandi business dei mondiali e delle Olimpiadi. Lei odia stirare le camicie, piuttosto preferisce portarle in lavanderia.


Jefferson il Brasiliano. 20 anni, abbandonato il primo anno di università in Brasile, si trasferisce a Dublino dove la mattina studia inglese e vende giornali ai semafori nel pomeriggio. Vive con altri cinque brasiliani e fra pochi giorni si trasferirà in un altro appartamento.


La ragazza tedesca di cui non ricordo il nome. Conturbante lolita, maggiorenne da poco. Insopportabile, ma dalla quale difficilmente riesco a staccare gli occhi di dosso. Suona il piano ed ha il rammarico di non aver imparato la chitarra. Si lamenta del fatto che le sue scarpe abbiano ben presto ceduto sotto l’incedere della pioggia irlandese.


Caroline, canadese di madre francese. Appena accolta a casa. Scossa, tramortita, scioccata a dir poco. Picchiata e derubata dalla precedente coinquilina nonché proprietaria di casa.


Jesus, esuberante sciupa femmine spagnolo che colleziona “bandiere”. Erasmus in una piccola cittadina della Romania al confine con l’Ucraina. Lavora adesso in una società di marketing a Dublino. Si sveglia alle 6 di mattina per andare in palestra: doccia, colazione e poi lavoro.


Signora Irlandese di cui sconosco il nome: in verità credo non me l’abbia proprio detto. Una casa di proprietà in Spagna in cui ritorna durante l’inverno. Ha vissuto in Italia dove ha lavorato per anni nel settore real estate, tra Toscana ed Umbria. Mi aiuta a trovare la fermata dell’autobus. Bellissimo cappotto di lana color ocra, con pelliccia ai baveri del collo. Un accento assai british e tutti i segni di uno charme e di una bellezza che furono.


Papà dell’est europeo con figlia sulle spalle. In un venerdì di insolito sole, passeggia per strada tenendo ben aggrappata al collo una stupenda creatura dai boccoli d’oro. Gli chiedo informazioni: mi risponde, mi accompagna, mi mostra dove.


Colei che scorgo tutte le mattine dalla parete vetrata dell’aula contigua alla mia. Come me, arriva molto presto ed attende l’inizio delle lezioni. Uno sguardo triste, anzi no, discreto. Attraversando il corridoio per arrivare all’uscita del secondo piano, finisco sempre per spiarne il comportamento. Dimostra distacco da quello che gli succede attorno, quasi un senso di inappropriatezza. Chissà quale gusto avrà la sua storia.

lunedì 6 giugno 2011

Whatever Works


“I happen to hate new year’s celebrations. Everybody desperate to have fun, trying to celebrate in some pathetic little way. Celebrate what? A step closer to the grave? That’s way I can say enough times, whatever love you can get and give, whatever happiness you can filch or provide, every temporary measure of grace, whatever works. And don’t kid yourself, it’s by no means all up to your own human ingenuity. A bigger part of your existence is luck than you’d like to admit. Christ, you know the odds of your father’s one sperms from the billions, finding the single eggs that made you? Don’t think about it, you will have a panic attack”.

Boris Yelnikoff (Larry David) in “Whatever Works”of Wood Allen

sabato 26 febbraio 2011

Legna bruciata e puzza di merda

Ognuno ha le sue sinestesie, forse anche quelle che si merita.

Non sono un tipo da “madeleine”, io.

L’odore della legna bruciata nell’aria mi riporta al pomeriggio del lunedì dell’angelo, al 25 aprile ed al primo maggio. Primavera, carne, parenti ed amici, giro con la macchina con il finestrino abbassato anche se dopo le 18 comincia a soffiare tramontana ed il freddo pizzica sulle mezze maniche da poco tirate fuori dal cassetto, jeans strappati e sporchi di carciofi abbrustoliti alla brace, vecchie Adidas adesso diventate da “campagna”, fragranza d’arrostito addosso.

Da adesso, però, l’odore della legna bruciata è anche Bielefeld. In questi giorni le maestranze stanno ripulendo i boschi qui attorno. La cura di cui i boschi necessitano. Tagliano in maniera accurata e poi bruciano la legna.

Ognuno ha le sue sinestesie, quelle che si merita.

La puzza di merda nell’aria sarà Bielefeld ed il mio Erasmus. Prima era Parma e lo sterco di quei porci materia prima per il prosciutto: adesso Parma è sparita. Gli allevatori puliscono le stalle e sversano la merda nei campi: qui a Bielefeld però la merda è di bue. Parecchie fattorie tutt’ attorno, con i pannelli solari sul tetto che splendono nelle giornate di sole.

Ognuno ha le sue sinestesie, quelle che si merita. Sterco e legna bruciata, sono le mie.

martedì 18 gennaio 2011

Ettore Scola

Rimetto mano al mio blog dopo mesi.

Blog non mi sei mancato e nemmeno tu, scrittura.

Credo di non aver interrotto il mio scrivere per così tanto tempo da quanto ne ho acquisito la capacità. Piuttosto che scrivere, in questi mesi ho preferito girare. Ma girare cosa, i pollici forse? No, girare un film. Si perché vivere un Erasmus è come farlo. Talvolta, solo per istanti, finisco per astrarmi da quello che sto vivendo e lo percepisco dall’esterno, come filtrato per via di una camera: un bel film, con scene ben girate e storie compiute.

Non voglio di certo fare l’apologia dell’Erasmus: è vero, già mi manca prima ancora che abbia termine, ma ci saranno tempi e luoghi opportuni in cui finirò per rimpiangerlo.

Adesso scrivo, dopo aver visto un film di Ettore Scola. O meglio, sto attendendo i canonici 30 minuti di pausa Megavideo. Mi sto dando aree da intellettuale? Non credo, sono ai minimi storici della mia pulsione al pensiero, anche se di questi tempi, penso, e finisco per farlo tanto bene.

Di questo ultimo periodo non voglio perdermi niente. Ed il mio menefreghismo per tutto quello che mi circonda accresce. Paradossalmente, il fatto di vivere relazioni sociali a brevissima duratura, mi rende molto più libero. Non pretendo niente da nessuno ed io stesso sono più altruista nel donarmi agli altri, almeno credo. Riesco a sorbire con massima abilità, discussioni inutili, situazioni incresciose, pacchi, opportunismi, insomma tutto quello che nella vita normale pure mi farebbe incazzare. Qui è diverso e non riesco ad arrabbiarmi di nulla. Mi piace quasi tutto di questa vita, ma forse solo perché si tratta di una vita a breve scadenza.

Dispongo di relazioni sociali fondate sul nulla. Nessun interesse comune, nessuna affinità caratteriale, niente di niente. Bè…questo dovrebbe forse essere un problema? Perché a volte chiedo così tanto a chi mi sta accanto? Già il fatto di trovarsi nello stesso posto e momento non è comunanza? Ed è quello che avviene qui. Nessuno ha deciso niente. Tutti hanno solo scelto di vivere con perfetti sconosciuti. Quello che accomuna è la voglia di mettersi in gioco e di condividere qualcosa (di sovente indecifrato): poco altro ancora, ma questo può bastare.

La faccia tosta diviene routine. Non mi sento mai a disagio, di niente. Benché talvolta non riesca a comprendere il nulla più assoluto per via del tedesco, niente mi disturba. Ho con me, sempre, le mie certezze: il 28 febbraio tutto finisce e tutto mi mancherà.

Mi piace la facilità con cui si entra nella vita della gente e soprattutto quella con cui se ne esce. Niente è statico. È un fottuto tourbillon!

Me ne andrò con il mio bagaglio di ricordi, anche se non sarebbe male che qualcuno di questi continuasse a sopravvivere nella mia vita: ma si vedrà.

Sto scrivendo di getto.

Mi piace conoscere gente nuova, mi piace più di tutto. Nei libri sta scritto, solo perché nella vita si è fatto. Vorrei conoscere gente e scrivere di loro. Tutto è interessante qui, ogni storia è unica, ma forse perché unico è il mio interesse.

Ho voglia di procedere per pazzie, nelle prossime settimane. Per carità niente di eccezionale, non sono mica una rockstar e gli eccessi non mi sono mai piaciuti. Credo che sia più stravagante regalare una rosa a qualcuno con cui si è parlato per 5 minuti in massima frivolezza in discoteca, che sbronzarsi con una bottiglia di vodka. Talvolta la trasgressione è così ovvia, che mi stupisce ben altro.

Entrare nelle vite degli altri è trasgressione. Questa mi attira e mi stupisce, questo voglio fare. Mi basta giusto parlare ed io adoro parlare: adesso che l’inglese mi risulta meno impenetrabile, perché non farlo.

Mi si è addormentato un piede e lo bistratto per terra, in questo modo la circolazione si riattiverà.

Blocco il rubinetto che continua a gocciolare e ritorno ad Ettore Scola.

giovedì 16 settembre 2010

Bath Coupon

Bielefeld, la città che non esiste, giovedi 16 settembre 2010, ore 22 circa.

Primo giorno di connessione internet.

Seconda settimana di permanenza in terra tedesca: sette giorni fa Berlino, domani Wuppertal , sabato/domenica (forse) Dusseldorf.

Stravolto dai ritmi erasmus, ancor più da quelli teutonici.

Imparare il tedesco è come fare voto di povertà: ben presto finisce per passarti la voglia.

Riesco a sostenere conversazioni in inglese, riuscendo a carpirne solo il 20% del significato: nessun problema, dato che l’interlocutore, nella stragrande maggioranza dei casi, è così terribilmente ubriaco da non riuscire a ricordare di cosa stesse parlando fino a 5 minuti prima.

I “tedeschi” sono tali nel senso più comunemente percepito (in Italia) del termine: è pur vero che sono solo agli inizi della mia disamina. Ancora mi mancano molti elementi per approfondire la mia analisi sociologica in merito.

La partizione della giornata, così come prevista dall’ufficio relazioni internazionali della Fachhoschule Bielefeld ha sempre una dimensione spartana, militare, anche nei giorni pattuiti come di “relax”. Ne scaturisce tutta la mia “italica” insofferenza …

Essere ripresi da un insegnate tedesco, per uno studente italiano tende ad assumere la valenza di una mortificazione immonda.

Lo status di erasmus prevede un uso sconsiderato di alcolici, quello di abitante dell’Europa del Nord ancor di più: salute, portafoglio e self control, ringraziano vivamente l’ impossibilità di reggere il ritmo di Olandesi, Finlandesi, Tedeschi, Cechi, Polacchi, Francesi…

Sembra che attorno all’Italia ed agli Italiani, graviti un’aura mitica. Talvolta mi sento come una specie protetta in territorio di caccia: bisogna anche stare attenti alle cacciatrici più mature.

Il mio senso di inferiorità per gente che in media parla correttamente due lingue oltre alla propria? Poca se si trattasse solo di tedeschi; ma se a questi aggiungiamo olandesi, finlandesi, cechi, turchi, polacchi, coreani…allora si passa ad un sentimento di manifesta indigenza personale.

La spesa diventa un’attività complessa, al limite dell’impossibile. Poche speranze di trovare ciò che risulta mediamente utile ad un italiano: e non parlo solo di alimenti. Due settimane di continua ricerca ancora non mi hanno permesso di trovare un cazz…di secchio per mocio.

Trade Markettari, la distribuzione italiana sarà anche la peggio organizzata, il suo livello di redditività al lordo di contributi fattura sarà pure tra i più bassi d’europa, ma sul livello di servizio offerto al consumatore ( in termini di assortimento) sono pronto ad aprire un contraddittorio.

La mia camera? Praticamente un monolocale di 15 metri quadri comprensivo di letto scrivania mensole armadio cucina tinello bagno doccia e niente bidè. Come questo possa essere possibile? Frutto del razionalismo tedesco.

Paghi 70 centesimi per utilizzare il bagno in una stazione di servizio sull’autostrada e con lo stesso ticket puoi usufruire di un coupon sconto di 50 centesimi sul food? Sconcertante associazione, sempre frutto del razionalismo tedesco.

Il bagno dentro la mia stanza interamente in pvc: orribile! Sembra essere stato fabbricato per una cabina di una nave e poi bello e pronto montato in una residenza universitaria.

Il livello di socializzazione nel mio dormitorio? Nullo. Solo un agglomerato di monolocali.

Posso ospitare chiunque quando meglio lo ritengo opportuno: esplicito messaggio ai promessi visitatori. Organizzatevi, vi aspetto!